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Verso la trasformazione digitale

verso la trasformazione digitale

di Walter Frangipane •
Economista

Della «Trasformazione Digitale» “Digital Transformation” si parla da circa 20 anni, ma da quell’epoca moltissimo è cambiato e sta cambiando; le cose non stanno più come erano pensate vent’anni fa. La crisi pandemica del COVID 19 ha spinto a correre molto a livello globale sulla digitalizzazione. Anche nel P.N.R.R. Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (conosciuto come “Recovery Plan” «Piano per la Ripresa»), già presentato a Bruxelles, è previsto un “budget” (bilancio preventivo), nell’ambito del pertinente “cluster” (raggruppamento) in cui sono evidenziate le risorse finanziarie che l’Italia dovrà mettere in campo per spingere sulle innovazioni, sugli investimenti e le strutture digitali, insomma per la trasformazione digitale.

Ma cos’è la trasformazione digitale? Perché è importante? Che ruolo gioca la cultura della trasformazione digitale?  “Digital is a loaded word that means many things to many people” «Digitale è una parola complicata che significa molte cose per molte persone» ha detto Jim Swanson, Capo e Responsabile dell’Informazione del colosso industriale “Johnsons & Johnson” del New Jersey. La digitalizzazione è un processo di trasformazione trasversale, nel senso che non interessa solo la «macchina pubblica», ma tutte le Aziende private e non, anche le partecipate, le piccole, le medie, le grandi Imprese, perché la digitalizzazione diventerà fondamentale per il loro avvenire, se vogliono rimanere competitive e rilevanti, ed anche perché è il mondo intero che diventerà sempre più digitale. Tuttavia ciò che non è chiaro a molti leaders di Aziende, da quel che si legge, è il significato di trasformazione digitale.

È forse un modo accattivante per trasferirsi nel “cloud” (internet inteso come server, cellulari, banda larga, 5G etc.)? Quali sono i passaggi specifici, essi si domandano, che bisogna intraprendere? Occorre progettare nuovi lavori che aiutino a creare un quadro per la trasformazione digitale? Dovranno essi assumere servizi di consulenza? Quali tipi di strategie economiche e industriali dovranno cambiare? Ne varrà proprio la pena? 

Sì, ne varrà davvero la pena! Intanto la trasformazione digitale come pure l’integrazione della tecnologia digitale, in tutte le aree di un’azienda, pubblica o privata che sia, piccola o grande, porta a cambiamenti fondamentali sulle modalità e sulle varie operatività con le quali le aziende stesse svolgono i loro cicli produttivi: questo cambiamento fornirà valore ai clienti, se pensiamo alle imprese private, e valore anche ai cittadini fruitori dei servizi della “macchina pubblica” (statale, regionale etc.). Tuttavia, tutto questo comporterà un cambiamento culturale che richiederà a sua volta alle organizzazioni amministrative, tecniche ma anche sindacali, di sfidare lo «status quo». Occorrerà sperimentare sempre nuove modalità innovative e la necessità di doversi sentire anche a proprio agio davanti all’eventuale fallimento iniziale delle innovazioni tecnologiche che dovesse presentarsi, al fine di poterlo superare.

Tutto ciò significherà, infatti, lasciare da parte i precedenti processi aziendali di lunga data, su cui le imprese si sono basate finora, per rivolgersi verso pratiche operative relativamente nuove, ma in realtà in alcuni settori industriali non sono proprio completamente nuove, e che sono peraltro ancora in fase di definizione.
Uno degli interrogativi che si pongono gli Economisti di molti Paesi è come superare le “initial humps” (i dossi del percorso iniziale) di una nuova realtà che va dalla visione, alla progettazione, alla esecuzione. Lo stesso Jim Swanson, poc’anzi citato, che da tempo è uno dei pionieri della digitalizzazione, afferma che occorre necessariamente “unpack” (cioè disfare) in un certo senso il precedente sistema tecnologico per porre in primo piano la “customer centricity” (la centralità del cliente), automatizzando le operazioni e creando nuovi modelli di business. Tuttavia per realizzare tale obiettivo bisognerà partire da due punti essenziali: la leadership e la cultura, altrimenti si possono avere a disposizione tutte le tecnologie, il punto di vista del cliente, la sua centralità, i prodotti, i servizi anche, ma se non sono ben integrati la leadership e la cultura, tutto potrebbe volgere verso il fallimento. Bisogna allora avere le idee chiare su cosa significhi il digitale per un’amministrazione, per un’azienda, sia essa un’istituzione finanziaria, agricola, farmaceutica o commerciale al dettaglio o all’ingrosso etc.: questo è veramente essenziale.

Perché se qualcuno pensa che digitalizzare significhi, per esempio, ricorrere al PDF, rinunciare alla carta, l’analisi dei dati, il lavoro dei team agile, l’intelligenza artificiale, l’open space e via dicendo, è fuori dalla nuova ottica della trasformazione digitale. Non si tratta soltanto di avere davanti un futuro ambizioso, perché un’azienda può intraprendere la trasformazione digitale per diversi motivi.

Ma di gran lunga, la ragione più probabile è che deve, è obbligata: è veramente un problema di sopravvivenza. Infatti, sulla scia della pandemia, la capacità di un’organizzazione di adattarsi rapidamente alle interruzioni della catena di fornitura, alle pressioni del mercato e alle aspettative dei clienti in rapida evoluzione è diventata fondamentale. In una recente serie di eventi svoltisi presso l’I.T. Sloan C.I.O. Symposium, i leaders mondiali delle I.T. (Tecnologie Informatiche e Digitali) hanno convenuto che il comportamento dei consumatori è cambiato rapidamente in molti modi dall’inizio della pandemia.

Il Prof. Sandy Pentland, fisico informatico, ha descritto come i sistemi automatizzati ottimizzati in aree come la gestione della catena di approvvigionamento si siano interrotti di fronte agli improvvisi cambiamenti sia della domanda che dell’offerta, una realtà che quasi tutti hanno affrontato a livello personale durante la pandemia. Fa’ eco al “Simposio” Rodney Zemmel, leader globale della McKinsey Digital, il quale afferma “digital has been accelerating in just about all categories” (il digitale sta accelerando in quasi tutte le categorie). Pertanto, i massimi dirigenti I.T. (Tecnologie Informatiche e Digitali), nelle diverse e variegate “Organizzazioni” che oggi sono in rapida evoluzione, devono adeguarsi al ritmo del cambiamento e guidare i gruppi di loro competenza, altrimenti resteranno indietro! Questa è la questione esistenziale – in gioco – nell’odierna infusione digitale dei tempi in cui viviamo, dove l’azione coraggiosa deve essere attivamente supportata da sperimentazioni immediate e individuazione di percorsi.

Ciò deve essere fatto gestendo l’inesorabile tamburo quotidiano dei problemi operativi, l’erogazione dei servizi e le distrazioni capricciose dell’imprevedibile, come un importante ed improvviso attacco informatico o la violazione delle informazioni: cose queste purtroppo da mettere in conto. Nelle aziende più complesse e molto ben articolate, la tecnologia ha un ruolo fondamentale nelle capacità organizzative, che sono spinte ad evolversi con il mercato e ad accrescere il valore della produzione, più che la quantità della produzione stessa, a vantaggio dei clienti. In questa prospettiva giocano un ruolo chiave i C.I.O. “Chief Information Officer” (cioè i Direttori Informatici), che sopra tutto nelle aziende delle medie e grandi dimensioni, ma sicuramente prenderanno piede anche nelle piccole, sono gli unici ad avere le competenze necessarie della “Net Economy” (Economia Digitale) e delle I.T. (Tecnologie Informatiche e Digitali).

Queste realtà in fase di accrescimento consentiranno di migliorare l’esperienza del cliente, che diventerà così obiettivo cruciale della “Digital Transformation”. Il COVID 19 ha dato una spinta e un’accentuata forza di cambiamento alla digitalizzazione rispetto a come era intesa alcuni anni fa. Infatti, come scrive su «Twitter» Melissa Swift (uno dei 20 Leaders primi al mondo in materia di digitalizzazione del lavoro) “The COVID crisis rapidly re-shape both the “what” and the “how” of companies’ digital transformation agendas” «La crisi del COVID ha ridisegnato rapidamente sia il “cosa” che il “come” nelle agende di trasformazione digitale delle Aziende». E quindi bisognerà rendere, continua la Melissa Swift, la forza lavoro a prova di futuro, dal plasmare la visione fino in fondo per aiutare a eseguire la transizione verso un nuovo lavoro e nuovi modi di lavorare. Questo farà sì che da oggi in poi, come sostiene l’eminente esperta su Twitter, con una vasta porzione della forza lavoro ormai remota (lavoro agile), l’esperienza dei dipendenti della tecnologia digitale passi dal “piacevole” all’avere “l’unico modo in cui il lavoro potrà essere svolto”, sia nel settore privato ma sopra tutto nel settore pubblico.

Tuttavia questo comporterà l’onere di promuovere la portata dell’assistenza agli utenti dei servizi pubblici o ai clienti delle imprese private, tramite appropriati strumenti, ivi inclusi i “chatbot” (della parola «chatbot» non esiste la corrispondente traduzione dall’inglese, ma significa tutti quei programmi per computers, peraltro già esistenti, progettati per simulare le conversazioni in internet fra soggetti pubblici come Stato, Regioni etc. nonché privati e Imprese su un fronte, e gli utenti umani sull’altro fronte).

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