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“Affrontare le cause dell’esclusione strutturale e della discriminazione per sostenere una crescita inclusiva sostenibile”

Al Plurale Online crescita sostenibile

di Walter Frangipane ∙

L’emergenza COVID ha posto i riflettori su disuguaglianze sistemiche profondamente radicate. Già da tempo si parla di “Inclusione Sociale”, in Europa e nel mondo, ma il COVID ha imposto un cambio di passo. Ma cos’è la “Inclusione Sociale”? Il concetto rimane ancora poco chiaro sia ad alcuni Economisti e sia ad Esponenti politici: questo deriva per la maggior parte dei casi da definizioni multiple, diverse une dalle altre, a volte anche contrastanti sia nella ricerca economica e sia in quella politica, non escludendo la ricerca sociologica.
La parola inclusione deriva dal latino “inclusio” ed è stata utilizzata probabilmente per la prima volta, nel secolo scorso, dal sociologo tedesco Niklas Luhmann, nel suo libro “Social Systems: Outline of a General Theory” per caratterizzare le relazioni tra individui e sistemi sociali, riservando il concetto di Integrazione Sociale alle relazioni tra i sistemi sociali. Tuttavia, sotto il profilo economico è opportuno focalizzare l’attenzione su alcuni punti fondamentali, quali “accesso alle infrastrutture e ai servizi sociali, un sistema redistributivo per ridurre la povertà, di cui l’Esclusione Sociale è una delle conseguenze, il riconoscimento del lavoro non retribuito, la riduzione della disoccupazione che si protrae a lungo, pari riconoscimento di tutte le popolazioni e delle comunità, l’alfabetizzazione e l’istruzione.  L’Inclusione Sociale è vista come l’opposto dell’Esclusione Sociale e riguarda settori economici, sociali, culturali e politici della società. Le leve di azione per promuovere l’Inclusione Sociale non sono omogenee, ma variano naturalmente da Paese a Paese.

Laidlaw Foundation (Canada) asserisce, invece, che l’Inclusione Sociale consiste “À faire en sorte que tous les enfants et adultes aient les moyens de participer en tant que membres valorisés, respectés et contribuant à leur communauté et à la société. Cinq pierres angulaires ont été identifiées: la reconnaissance valorisée, les opportunités de développement humain, l’implication et l’engagement,la proximité, le bien-être matériel”: che significa “Garantire che tutti i bambini e gli adulti abbiano i mezzi per partecipare come membri stimati, rispettati e contribuenti della loro comunità e società. Sono stati identificati cinque pilastri: riconoscimento apprezzato, opportunità per lo sviluppo umano, coinvolgimento e impegno, prossimità, benessere materiale”.

L’Accordo di Partenariato Europeo al n. 9 dell’Obiettivo Tematico non definisce in maniera esplicita l’Inclusione Sociale, tuttavia afferma testualmente che il concetto di “Inclusione Sociale” «comprende l’accesso di tutti i cittadini alle risorse di base, ai servizi sociali, al mercato del lavoro e ai diritti necessari per partecipare pienamente alla vita economica, sociale e culturale, e per godere di un tenore di vita e di un benessere considerati normali nella società in cui vivono. 

Il sostegno a questo obiettivo, nel contesto europeo, fa perno sul concetto di “Inclusione Attiva”, come definito nell’ambito della raccomandazione del 3 ottobre 2008 della Commissione europea, che prevede una strategia basata su tre pilastri: supporto al reddito adeguato; mercati del lavoro inclusivi; accesso a servizi di qualità. 
In altri termini, promuovere l’Inclusione Sociale significa assicurare, per la più elevata quota di persone possibile, la possibilità di accedere a risorse economiche adeguate, al mercato del lavoro e a livelli di servizio socialmente accettabili nelle molteplici dimensioni del proprio vivere: istruzione, sicurezza, salute, abitazione, ambiente, rispetto di sé».

L’O.N.U. ha tante volte affrontato l’argomento “Inclusione Sociale”, dando maggiore ampiezza e rimarcando che si tratta di un obiettivo importante per le persone con disabilità fisiche, intellettive e dello sviluppo, per le famiglie, per fornitori di servizi e responsabili politici, pronunciando “The interaction between two major life domains: interpersonal relationships and community participation” ovvero “L’interazione tra due principali domìni della vita: le relazioni interpersonali e la partecipazione della comunità”. È importante, però, comprendere come il COVID abbia avuto un impatto differenziato e intensificato sui più emarginati, comprese le persone con disabilità, che sono state le più vulnerabili, sulle donne, sui giovani disoccupati in particolare, ma anche sugli anziani, sulle minoranze etniche e razziali.

Se non si affrontano le cause profonde dell’esclusione strutturale e della discriminazione, che il COVID ha fatto emergere improvvisamente, “It will be challenging to support sustainable inclusive growth and rapid poverty reduction” «Sarà difficile sostenere una crescita inclusiva sostenibile e una rapida riduzione della povertà».
L’O.N.U. ribadisce, quindi, che “Social Inclusion is the right thing to do, and it also makes good economic sense”. «L’Inclusione Sociale è la cosa giusta da fare e ha anche un buon senso economico», perché, afferma, essa crea un processo di miglioramento dei termini di partecipazione alla società, in particolare per le persone svantaggiate, attraverso il miglioramento delle opportunità, l’accesso alle risorse, il rispetto dei diritti.

L’Unione Europea riprende questo contenuto e sancisce “Social Inclusion is a process which ensures that those at risk of poverty and social exclu¬sion gain the opportunities and resources necessary to participate fully in economic, social, political and cultural life and to enjoy a standard of living that is considered normal in the society in which they live. It ensures that they have greater participation in decision making which affects their lives and access to their fundamental rights” ovvero «L’Inclusione Sociale è un processo che assicura che coloro che sono a rischio di povertà ed esclusione sociale ottengano le opportunità e le risorse necessarie per partecipare pienamente alla vita economica, sociale, politica e culturale e per godere di un tenore di vita considerato normale nella società in cui vivono. Assicura loro una maggiore partecipazione al processo decisionale che influisce sulla loro vita e l’accesso ai loro diritti fondamentali».

Chiaramente l’Inclusione Sociale sta diventando una preoccupazione sempre più viva in tutti i contesti politici di tutti i Paesi e non solo in Europa, ma nel mondo. C’è tuttavia il rischio che il termine di “Inclusione Sociale” possa raggiungere da un lato larghezza ampia di conoscenza, interessando tutti i settori e tutti i Paesi, e dall’altro lato, come rovescio della medaglia, poca profondità di comprensione. C’è altresì il rischio che “Inclusione Sociale” possa assumere una narrazione accademica, piuttosto che una costruzione analitica su cui intervenire e operare. E così, per esempio, se si porta una comunità, una categoria di ceti sociali e di persone a partecipare solo ad una gamma ristretta di scelte predeterminate, si verifica un’inclusione parziale ed il concetto vero, profondo, significativo di “Inclusione Sociale” viene disatteso. Altro esempio, ma se ne possono fare tantissimi: indurre la classe povera o meno abbiente a decidere tra due alternative portate avanti da Gruppi monetari e finanziari: a questo punto si è solo creato, come dicono gli americani, un “Participation Theater” (Teatro di Partecipazione), e non si è affatto messo in atto per i cittadini l’esercizio della “Full Inclusion” cioè della piena “Inclusione Sociale”. 

Il sociologo urbanista Henri Lefebvre, antesignano della “Social Inclusion”, anche lui del secolo scorso, ha addirittura affermato “To collectively remake the city for everyday human needs rather than reflecting the logic of capital or the dictates of the State”, ovvero “Rifare collettivamente la città per i bisogni umani quotidiani piuttosto che riflettere la logica del capitale o i dettami dello Stato”.

Questa affermazione va vista oggi in relazione alla concezione di base emersa negli ultimi anni, che cioè le città sono dei siti a volte con notevoli accenti di differenze sociali, sopra tutto le grandi città. Le differenze riguardano, ma non sono limitate a queste soltanto, lo stato di capacità, di età, di classe, di cittadinanza, di etnia, sesso, razza, orientamento sessuale e posizione socioeconomica. Queste differenze non sono né un dato biologico, né fisse, né stabili. Sono costrutti sociali che vengono mantenuti e creati così come resistiti nel tempo e anche spesso contestati. Sì, è così, sono abbracciati e nello stesso tempo contestati. Le differenze nelle città non vengono semplicemente rivelate, ma vengono create e messe in atto. Queste differenze sono luoghi di azione, di mobilitazione sociale e performance messe in atto negli spazi pubblici e privati delle città. In altre parole, le differenze sociali non sono semplici categorizzazioni, ma siti di significato complessi e contestati. Le città presentano, infatti, molte fonti di differenziazioni sociali che si connettono e si scontrano, si intersecano e si interrompono a vicenda in forme complesse e in costante mutamento, ma può anche subentrare l’intersezionalità delle differenze sociali da ogni angolazione, che si sovrappongono anche e creano differenze all’interno delle differenze. Questo perché le città sono nodi di una rete di flussi globali di persone, di idee, di iniziative, forse diverse dalla parte restante del mondo che ci viene raccontato sopra tutto dai mass media come superfici di stati: la visualizzazione della struttura urbana è comunque diversa, perché le città sono maggiormente mappate sui rapporti dei poteri politici locali e sullo status sociale. 

Ed è proprio nelle città che si solleva maggiormente il suo contro cioè la “Social Exclusion” (l’Esclusione Sociale).   
Tuttavia c’è un movimento dal basso verso l’alto da parte dei residenti urbani, nelle grandi città; inoltre, c’è il desiderio di una città come luogo di sostenibilità e di resilienza sopra tutto di fronte al cambiamento climatico globale. Infatti i cittadini residenti hanno un’immediata esperienza e percezione della scarsa qualità dell’aria, ma poiché le questioni globali sembrano lontane, non si rileva un’efficace risposta politica immediata. 

Sotto il profilo politico, gli sforzi per promuovere l’Inclusione Sociale sono nati proprio dalle preoccupazioni per l’Esclusione Sociale. Pertanto, l’Inclusione Sociale diventa sia un processo che un obiettivo, per cui la promozione della stessa impone di affrontare l’Esclusione Sociale rimuovendo gli ostacoli alla partecipazione delle persone alla società, “as well as by taking active inclusionary steps” afferma l’O.N.U. «adottando misure di inclusione attiva». Come risposta politica alla sfida dell’Esclusione, l’Inclusione Sociale è quindi un processo più deliberato per comprendere e accogliere tutte le persone e abbracciare una maggiore uguaglianza e tolleranza. Occorre, tuttavia, considerare che la promozione dell’Inclusione Sociale può aumentare o meno la capacità delle persone di vivere insieme in armonia, perché, continua ad affermare l’O.N.U. “Societies that are otherwise cohesive may exclude some sectors of the population” «Società altrimenti coese possono escludere alcuni settori della popolazione».
Pertanto, in conclusione, è utile precisare che l’Inclusione Sociale non è la stessa cosa dell’Integrazione Sociale, anche se a volte i due termini sono usati in modo intercambiabile e forse improprio. Ma ambedue, sia l’Integrazione Sociale che l’Inclusione Sociale, dovrebbero auspicabilmente contribuire a rendere le società più coese.

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