di Giovanna Santacroce •
Si definiscono suffragette le donne che parteciparono al movimento per il voto (per il suffragio appunto) femminile durante il 1800.
In realtà i primi movimenti per l’uguaglianza delle donne erano già nati durante la rivoluzione francese, quando la parola “égalité “sembrava dilagare in ogni dove. La donna che lottò per raggiungere questo traguardo fu ghigliottinata durante la rivoluzione.
La lotta per l’emancipazione femminile fu così rinviata al XIX secolo in Inghilterra. Nel 1897 venne fondata la “Società Nazionale per il Suffragio Femminile” (National Union of Women’s Suffrage) che non ottenne appoggio dalla parte maschile della popolazione. Nel 1903 Emmeline Pankhurst, una delle esponenti più famose, diede vita all’ “Unione sociale e politica delle donne” (Women’s Social and Political Union) per l’ottenimento del voto politico e nazionale per tutte le donne, senza vincoli di sorta.
Da questo momento il movimento per il suffragio femminile divenne attivo e in certi casi violento. Le donne si incatenarono alle ringhiere delle città, incendiarono le cassette postali o le imbrattarono con la marmellata (per sfregio agli uomini che le vedevano come “angeli del focolare” a loro subordinate e devote), distrussero vetrine e negozi, diedero fuoco a due stazioni ferroviarie. Gli scontri con la polizia divennero sempre più duri e gli arresti sempre più frequenti. Il carcere era così duro che il movimento, guidato dall’esempio di Marion Dunlop, iniziò lo sciopero della fame. La polizia carceraria decise così per l’alimentazione forzata che era del tutto simile ad un atto di tortura. Venivano legate e obbligate ad aprire la bocca, quasi affogate dagli intrugli che venivano riversati a forza in gola tramite un sondino o un imbuto. L’opinione pubblica, anche maschile, cominciò ad indignarsi per quegli atti di brutalità. Nel 1913 una suffragetta arrivò a suicidarsi buttandosi sotto la carrozza di re Giorgio V durante il derby dell’ippodromo di Epson.
Le suffragette pretendevano di essere pari agli uomini politicamente (poter partecipare alla vita politica), giuridicamente (avere uguali diritti e doveri, ma soprattutto uguali trattamenti), socialmente (poter avere accesso agli impieghi fino a quel momento riservati agli uomini, come insegnare nelle scuole superiori) ed economico (sottopagate e dipendenti dal marito volevano poter essere indipendenti).
Fu la guerra mondiale a dimostrare anche agli uomini più testardi che le donne erano loro pari. Con la maggior parte degli uomini al fronte, le donne coprirono molte posizioni prima riservate a loro e così, nel 1918, il parlamento del Regno Unito approvò il diritto di voto limitato alle mogli dei capifamiglia con età superiore ai 30 anni. Solo con la legge del 2 luglio 1928 il suffragio fu esteso a tutte le donne del Regno Unito con età superiore ai 21 anni.
In Italia Il quadro sociale era complessivamente molto arretrato, anche per il forte influsso conservatore della Chiesa cattolica. Alle donne venivano sconsigliate le attività fuori casa, le letture libere, l’istruzione superiore e universitaria.
Nel 1923 le donne italiane ottennero il diritto di voto alle elezioni amministrative, ma tale diritto non trovò applicazione a causa della riforma fascista degli enti locali. Il diritto di voto politico per le donne fu applicato per la prima volta il 2 giugno 1946 per la scelta tra repubblica e monarchia.
Il primo paese nel mondo ad applicare il suffragio femminile fu la Svezia durante l’età della libertà (1718-1771).
In conclusione possiamo dire che nonostante tutte queste dure lotte, però, possiamo affermare con certezza che la vera parità dei sessi sia stata raggiunta solo sulla “carta”: cioè la stabilisce la legge ma non l’opinione pubblica; non è raro, infatti, notare persone stupirsi nel vedere una donna guidare un aereo, una nave.