“Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.” (Antoine de Saint-Exupéry)
di Brunella Trifilio ∙
Un saluto silenzioso, nella pace di un giorno appena spuntato. Un arrivederci scandito sottovoce, come l’incedere tranquillo del suo cammino di vita. Il senso della pace, nel prima e nel dopo.
Se è vero che il valore di una buona vita si dimostra nei fatti, senza particolari clamori, non servono parole per ricordare Francesco. Per ricordare proprio lui, che con la sua “voce” appena accennata, ha scritto una storia professionale da manuale. Il racconto di un valore costruito nella mitezza, ma rumoroso e inconsueto come un uragano.

La sua visione passionale del lavoro come “mare vasto e infinito” era il suo stile vincente; quello che motivava, rasserenava, rendeva orgogliosi di esserci sempre. Di questo approccio così lungimirante restano i fatti, a dimostrazione di come non sia impossibile coniugare le esigenze del datore di lavoro con quelle dei lavoratori. Della centralità della persona, come elemento essenziale per il buon funzionamento di un’organizzazione, Francesco aveva fatto la sua bandiera. Vedeva il suo gruppo di lavoro come un sistema perfettamente coordinato nel quale il contributo di ognuno era strettamente legato a quello degli altri: ad ogni collega la sua parte da condividere insieme con orgoglio, convinzione e senso d’appartenenza.
Onestà, trasparenza e lealtà con la squadra, i suoi punti fermi: nessuna falsa promessa ma tanta speranza di crescere insieme, senza mai considerarsi arrivati. Un lavoro immaginato proprio per tutti, ricercando nelle specificità dei singoli il vero punto di forza del gruppo e non la sua linea di frattura.
Supportava il team, senza mai sentirsi quel fuoriclasse che era, valorizzando e motivando i suoi collaboratori in ogni circostanza. Il suo ottimismo era coinvolgente, come il suo sorriso rassicurante, ma senza false esagerazioni. Nel suo senso del dovere trasmetteva tranquillità ai colleghi, nonostante le responsabilità imposte dal ruolo. Il suo modo di comunicare con gli altri era essenziale e misurato, anche in situazioni di stress. Sapeva trasformare le piccole difficoltà in nuove opportunità per il gruppo, con una visione proattiva e propositiva davvero non comune.
Considerava la persona – con tutto il suo carico di bisogni umani e professionali – una vera opportunità per l’azienda come uno straordinario punto di forza per il gruppo e non una minaccia al suo percorso professionale. Aveva capito che nessuno lavora esclusivamente per lo stipendio, ma che occorre riconoscere e valorizzare capacità, attitudini, conoscenze e anche emozioni.
Se il suo stile professionale nasceva da una spinta autenticamente interiore, non era però privo di razionalità. Francesco aveva ponderato bene tutti i fattori di forza e debolezza dell’organizzazione del lavoro. Per questo non aveva mai smesso di studiare e mettere in pratica la sua formazione accademica. Era consapevole dell’inefficienza di un ambiente lavorativo che – ignorando il valore della persona – genera disinteresse, insofferenza, risentimento, scarso coinvolgimento, dissidi, demotivazione e, come inevitabile conseguenza, scarsa produttività. Sapeva bene che una partecipazione appagante al lavoro conduce alla democrazia reale in azienda; quella democrazia capace di affermarsi dove i rapporti professionali si fondano sulla fiducia reciproca e sul benessere condiviso nella piena collaborazione, in assenza di dissonanze organizzative e conflitti.
Francesco rifletteva e agiva con la testa e con il cuore, mettendo razionalità e sentimenti al servizio dei suoi colleghi. Con la sua personale costruzione di responsabilità sociale, ha giocato la parte di un autentico rivoluzionario di pace. La sua rivoluzione pacifica per il bene delle persone, andrà custodita con cura perché questa bella lezione di vita e di lavoro ha il sapore dell’eternità.