La forza del Manifesto di Ventotene nelle responsabilità sociali e nel confronto culturale delle generazioni X, Y, Z …
di Brunella Trifilio ∙
Per un’Europa libera e unita, non un semplice titolo per il Manifesto di Ventotene, ma il primo passo di un cammino di pace condiviso da popoli uniti nelle diversità. Un percorso ancora molto lungo e per niente scontato, nel presente dei popoli europei come in prospettiva di un futuro migliore.
Correva l’anno 1941. L’Europa era molto diversa da quella che conosciamo. Le restrizioni alla libertà personale, le ostilità dilaganti, la divisione netta tra popoli allontanati da frontiere geografiche e culturali sembravano quasi la normalità dei tempi; mentre appariva quasi innaturale la sfida dei pochi alle dittature che incalzavano nel silenzio della paura e dell’ignoranza. Chi osava sfidare i regimi ne pagava le conseguenze: il carcere, il confino, il semplice isolamento sociale. Fu così che l’odio tra i popoli prese il sopravvento, fino all’estrema conseguenza della seconda guerra mondiale.
Ma torniamo all’anno 1941, un tempo di pesanti insofferenze tra Stati vicini, un tempo che bisognava accettare come normale, ma che normale non era. Altiero Spinelli, Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni osarono sfidare questa strana “normalità” dell’odio tra i popoli con un documento che chiedeva ben altro: la caduta delle dittature, la cessazione dei conflitti e la nascita di una federazione europea. Confinati sull’isola di Ventotene, non rinunciarono alle loro idee.
Con la fine della seconda guerra mondiale, le idee dei tre pionieri dell’unità europea apparvero finalmente normali. Non più utopia, ma realtà necessaria. L’Europa aveva dovuto sperimentare la sofferenza delle privazioni, deportazioni, restrizioni alla libertà personale perché si potesse finalmente giudicare normale la pace e, con essa, la necessità dei popoli di unirsi, rispettarsi, appianare le divergenze etniche. Era ormai evidente che le idee di Colorni, Spinelli e Rossi dovessero realizzarsi al più presto, proprio per scongiurare il pericolo di un ritorno al passato più buio.
Questo è l’inizio sofferto del cammino che ha portato all’unione dei popoli europei. Una strada lunga e tortuosa che non possiamo permetterci di ripercorrere al contrario. Piccoli passi ma fondamentali, dalla costituzione dell’OCSE – nata come OCSE fra il 1948 e il 1949 – all’ Unione Europea (1992).
Un’esperienza in evoluzione, ma ricca di sviluppo sociale ed economico. “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”. Queste le parole contenute nel primo articolo della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea comunemente conosciuta come Carta di Nizza perché adottata proprio in questa città il 18 dicembre 2000. Vengono sanciti diritti inviolabili dell’uomo come quello alla libertà, alla dignità, alla solidarietà e all’uguaglianza. Principi fondamentali nella vita delle persone rafforzati con la stesura del Trattato di Lisbona del 2007 che mira a irrobustire l’integrazione europea. Un’integrazione basata sui diritti, senza distinzioni di genere, lingua, religione. Diritti che esistono per le persone indipendentemente dalla loro appartenenza ad un determinato popolo, gruppo etnico, politico o religioso. Diritti che non dipendono dall’essere italiano, cattolico, meridionale, settentrionale, bianco o nero, ma dall’essere uomo.
I diritti sanciti dall’Europa non sono enunciazioni di principio, ma garanzie talmente consolidate da non farci più caso: Diritto alla salute garantito al cittadino europeo a prescindere dalla sua provenienza; Standard minimi per alcuni diritti come quello alla libertà, alla giustizia, alla salubrità dei prodotti venduti; Investimenti nella promozione delle infrastrutture, dell’occupazione e dei trasporti; Aiuto ai Paesi più in difficoltà; Sostegno finanziario ad iniziative volte a migliorare la qualità della vita (piste ciclabili, restauro dei monumenti, progetti di ricerca e sviluppo, ecc.), all’agricoltura, all’ambiente, ecc. La sfiducia degli euroscettici verso le istituzioni comunitarie e l’integrazione si smentisce nei fatti.
L’Europa, così come oggi la conosciamo, è una area geografica che ha sperimentato un forte progresso economico e sociale frutto di una crescita condivisa, non certo di casualità. Nonostante tutto, i “sovranisti” rivendicano la sovranità dei singoli Stati. Ma un Paese solo è più debole, con tutto ciò che può conseguirne in un contesto di crescente conflittualità internazionale. Nell’era dell’informazione a mezzo social e della disinformazione, il ruolo della scuola diventa fondamentale. Ogni generazione è chiamata in causa per costruire una pace che nasca dal sapere, non sulle macerie lasciate dalle guerre. Le generazioni X, Y E Z e quelle che verranno dopo, hanno il dovere di confrontarsi su queste tematiche, come insegnanti e come studenti. La conoscenza degli errori del passato è fondamentale per non ripeterli. Spazio al sapere, per un buon presente e un eccellente futuro dei popoli europei che verranno, prima che sia troppo tardi.