di Walter Frangipane* ∙
Ancora dopo oltre un anno, la guerra in Ucraina continua a imperversare, mantenendo una grave minaccia alla sicurezza globale a causa delle imprevedibili conseguenze. Pesantissimo è il tributo di vite umane ed estremamente massiccia è la devastazione nell’area del conflitto: unanime è stata la condanna del conflitto da parte del G7 riunitosi in questi giorni a Hiroshima. L’impatto economico della guerra continua comunque a ripercuotersi in tutta l’Europa, e indirettamente anche nel mondo, contribuendo alle pressioni inflazionistiche e rallentando la ripresa post-pandemia. Sotto il profilo economico, la guerra ha causato l’aumento dei prezzi dell’energia e ha inasprito la carenza di cibo sopra tutto nei paesi deboli, mentre sotto il profilo politico ha ricompattato l’idea di Europa.
Purtroppo le ripercussioni del conflitto si son fatte sentire nelle Economie sviluppate, nei Paesi europei in particolare, che hanno dovuto far fronte ai prezzi dell’energia saliti alle stelle, creando timori sulla sicurezza energetica; ma le ripercussioni si sono viste anche a seguito dell’afflusso dei rifugiati ucraini nei Paesi confinanti alle aree del conflitto. Già l’aumento dell’inflazione nel 2022, allorquando la guerra in Ucraina è stata uno dei numerosi fattori che hanno contribuito ad aumentarla, ha eroso i redditi reali disponibili, spingendo quindi migliaia e migliaia di famiglie verso difficoltà economiche. L’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e le interruzioni delle esportazioni di grano hanno portato all’accrescimento dell’incidenza dell’insicurezza alimentare e della fame sopra tutto nei Paesi africani. Questo in Italia non si è verificato, perché il nostro Paese è autosufficiente per poco più del 50% del suo fabbisogno di grano, ed infatti l’importazione del grano dalla Russia e dall’Ucraina non è fondamentale, anzi è del tutto marginale. Tuttavia l’Economia è messa a dura prova in diverse regioni della nostra penisola a causa della crisi climatica, che si sta manifestando dapprima con ondate di siccità, di incendi, e dopo, a seguire, con nubifragi, alluvioni, inondazioni, che continuano a causare ingenti danni economici ed umanitari, inducendo a proclamare lo stato di calamità, come possiamo osservare proprio in questo tempo.
Per quanto riguarda la “crescita economica”, non si può dire, tuttavia, che la guerra in Ucraina sia stata l’unico fattore alla base di una crescita economica in molti Paesi più lenta rispetto a quanto previsto per il 2022, crisi che proietta una visione non molto ottimistica per il 2023, sia pure non sfavorevole. Gli estesi blocchi e le concomitanti interruzioni della catena di approvvigionamento, l’esaurimento via via dei precedenti stimoli fiscali, unitamente al percorso più ripido del previsto della stretta monetaria da parte, in particolare, della Banca Centrale Europea, hanno rallentato la crescita economica che a fine periodo pandemico sembrava rivelasse segnali abbastanza incoraggianti. Si può, invece, dire che il conflitto è stato uno dei principali “driver” (impulso) del rallentamento economico nella seconda metà del 2022 in alcuni Paesi, anche europei, dal momento che sono state interrotte per qualche tempo le rotte di approvvigionamento e sono sopraggiunte ulteriori forti pressioni inflazionistiche a quelle in atto: tutto questo mentre le Economie, riaperte dopo i famosi blocchi e le restrizioni alla mobilità, erano lì ad assistere al rilascio della domanda repressa.
Le interruzioni nella fornitura di gas naturale all’Europa e il conseguente aumento dei prezzi del gas e dell’elettricità hanno influito non poco, inoltre, sui consumatori e sulle industrie manufatturiere. In diversi Paesi l’inflazione ha raggiunto livelli a due cifre nel 2022, non quindi per l’Italia, per cui il conflitto ha influenzato anche indirettamente le decisioni della politica monetaria. Sebbene gli esportatori di energia e materie prime abbiano in qualche modo beneficiato, e in qualche caso anche speculato, del miglioramento delle ragioni di scambio nel 2022, per molti Paesi i risultati economici nello stesso anno non si sono poi così rivelati come molti auspicavano, dopo la ripresa post pandemica. È questa una debolezza che si è ravvisata anche all’inizio del 2023, ma assolutamente non tale da presagire una recessione, come alcuni Economisti hanno paventato! L’Unione Europea si è mossa per tempo, ma sopra tutto l’Italia, rispetto ad altri Paesi Europei, iniziando dapprima con il governo Draghi e a seguire con il governo che si è formato dopo, al fine di aumentare gli acquisti di petrolio, di gas naturale e liquefatto da altre nazioni, portando al riempimento, con buon successo, degli impianti di stoccaggio del gas in particolare. I prezzi sono alquanto diminuiti rispetto ai picchi dei mesi scorsi, rimanendo comunque ben al di sopra delle loro medie storiche, ma sono diminuiti anche i consumi per via di un inverno relativamente mite. Di converso sono aumentati i prezzi di alcuni metalli come l’alluminio, il cobalto, il nichel, il palladio e il titanio, che hanno influito negativamente sulla produzione automobilistica ed elettronica, e potrebbero, peraltro, aumentare ancora a causa di eventuali pressioni sulla catena degli approvvigionamenti o a causa, non ultimo, della volatilità del mercato.
Sono aumentati, inoltre, come abbiamo avuto modo di riscontrare tutti nella nostra vita quotidiana, i prezzi di altri prodotti, come il pane, la carne, gli oli alimentari e i prodotti agricoli che ne hanno seguito la tendenza. Tuttavia gli aumenti progressivi dei prodotti alimentari hanno subìto poi un rallentamento grazie in primo luogo alla “Black Sea Grain Initiative” (Iniziativa del Grano dal Mar Nero), mediata da Nazioni Unite e Turchia, che ha permesso lo sblocco non solo delle esportazioni di grano dai porti ucraini, da cui l’Italia comunque registra – come detto – poca importazione, ma anche dei fertilizzanti per l’agricoltura; in secondo luogo perché si sono verificati dei buoni raccolti in Canada, Argentina, Brasile e Australia.
La guerra in Ucraina ha inevitabilmente contribuito a un’inversione del processo decennale di integrazione economica globale con interruzioni nelle catene di approvvigionamento di intere aree regionali e globali esistenti. Le diminuzioni del traffico marittimo e di quello aereo causate dal conflitto, compresi i voli passeggeri, hanno influito sul commercio internazionale e sul turismo. Naturalmente le stime del costo della frammentazione economica variano da Paese a Paese, a causa della riduzione dei flussi commerciali globali, il disaccoppiamento tecnologico, la minore diffusione delle innovazioni e il rallentamento della crescita della produttività.
Dallo scoppio della guerra in Ucraina, molti paesi sviluppati, in particolare l’Italia, hanno introdotto sanzioni economiche contro la Federazione Russa, con l’obiettivo di ridurre i legami economici di quel Paese con il resto del mondo. Numerose restrizioni sono state imposte a settori industriali chiave, vietando l’importazione di materiali e tecnologie, in particolare tecnologie e prodotti “dual-use” (i prodotti “dual use” sono quelli a “duplice uso” che, sebbene abbiano prevalentemente un utilizzo civile, potrebbero anche essere impiegati a scopi militari, come, per esempio: valvole, pompe, calcolatori, materiali elettronici, sensori e laser, materiale avionico, navale, aerospaziale): ovviamente sono compresi nelle restrizioni anche i semiconduttori. Le sanzioni hanno preso di mira in particolare la Banca Centrale della Federazione Russa, per cui gran parte del “cuscino di sicurezza” accumulato nel corso di molti anni è diventato fuori portata per le autorità russe. Anche il sistema di messaggistica SWIFT ha interrotto i collegamenti con diverse importanti banche russe. C’è da dire che le esportazioni russe sono cambiate notevolmente, con un incremento degli scambi con la Cina, l’India e la Turchia, ma a prezzi abbastanza scontati, per cui la Russia non ha più gli stessi grandi proventi derivanti da esportazioni, come negli anni passati.
Resta il fatto che le prospettive di crescita economica sono ancora anemiche nell’ambito dell’Unione Europea, anche se l’Italia sta registrando qualche risultato positivo in percentuale maggiore rispetto agli altri partners europei. Però la resilienza post pandemica poteva costituire veramente una pietra miliare per la futura ripresa, ma nel nostro Paese – occorre dirlo – c’è spazio per l’ottimismo. Tuttavia le imprese dovranno affrontare una sfida triplice: la prima determinata da prezzi elevati dei fattori di produzione chiave, la seconda dall’inasprimento della politica monetaria, dal momento che Christine Lagarde e Luis de Guindos hanno già manifestato la propensione ad inasprirla per prevenire rialzi inflazionistici, altrimenti l’inflazione, a loro modo di vedere, potrebbe essere molto poco controllata, e la terza, ma non ultima, determinata dal particolare indebolimento della domanda, cosa questa che potrebbe rappresentare un significativo freno all’attività economica.
È probabile anche, ma non scontato, che le Banche Centrali possano continuare ad inasprire ancora la politica monetaria, anche se economicamente non è auspicabile, per combattere l’inflazione, per cui le imprese dovranno affrontare un contesto economico completamente diverso. Non si vedeva una simile concomitanza di fattori da anni, se non da alcuni decenni: tassi elevati, incertezze geopolitiche, insicurezza energetica e la necessità di ripensare le filiere globali. In mezzo a tutto questo, c’è la necessità di innovare, di proteggere l’ambiente, di diventare più inclusivi e di riqualificare la forza lavoro. Non esiste una tabella di marcia ad hoc, e quindi le imprese dovranno affrontare queste sfide in modo quanto più possibile agevole e prevedibile. Esse dovranno assumersi rischi maggiori e, come al solito, dovranno affrontare il peso delle loro decisioni e assumersi le loro conseguenti responsabilità. La sostenibilità a lungo termine di un’azienda non è mai stata così dipendente da questi fattori multidimensionali. Prendersi cura delle proprie posizioni di cassa in un contesto di condizioni finanziarie difficili è uno dei punti di partenza, ma questo potrebbe non essere sufficiente a garantire la sopravvivenza di un’azienda in questa nuova era. Essere, pertanto, preparati alla resilienza, all’integrazione, alla solidità finanziaria con un occhio alle persone e alla natura sarà obbligatorio. Il rischio della deglobalizzazione e dell’agire per soddisfare esclusivamente gli interessi di un’azienda è reale, ma non è nel migliore interesse per i lavoratori e per le loro famiglie che essi dovranno sostenere. Certo è ben facile a dirsi, ma ahimè è molto difficile a farsi, pertanto i veri imprenditori saranno chiamati all’azione come mai prima d’ora.
Da parte loro, i responsabili politici dovranno affrontare difficili compromessi per guidare le proprie economie attraverso le crisi attuali e sostenere una ripresa inclusiva e sostenibile. Le politiche macroeconomiche dovranno essere, quindi, attentamente calibrate per trovare un equilibrio tra lo stimolo alla produzione e il contenimento dell’inflazione, con un efficace coordinamento tra le politiche monetarie e fiscali che tengano lontana una eventuale recessione economica. Certo i rischi di errori politici possono esserci per qualunque compagine governativa, e potrebbero essere anche significativi, sopra tutto se pensiamo che le risposte che può dare la Politica Economica non sempre hanno la capacità di affrontare e limitare gli shock che non hanno un’origine economica: i gruppi socioeconomici molto vulnerabili ne risentirebbero non poco.
Per concludere, merita un breve accenno la situazione territoriale disastrosa in cui è piombata l’Emilia Romagna, a causa delle devastazioni: lì non si tratta di ripresa economica, ma di intera ricostituzione del territorio e del tessuto produttivo. Molte aree sono devastate, intere produzioni distrutte, colture pluriennali completamente annientate, per altre occorre ottimisticamente almeno un quadriennio per essere rimesse in produzione; molte famiglie hanno perso tutto, numerose imprese produttive sono veramente in ginocchio e tantissimi lavoratori non hanno più occupazione. Le risposte saranno immediate, e non potrebbe essere altrimenti, al fine di mettere in sicurezza dapprima il territorio e iniziare subito la ricostruzione, perché i danni sono ingentissimi e peraltro al momento non valutabili. Occorrerà trovare le risorse e si farà ricorso anche all’intervento del Fondo di Solidarietà Europea, ma non c’è da aspettarsi che i soldi arriveranno presto: bisogna comunque cominciare subito. Sarà importante snellire le lunghe procedure: la ricostruzione del ponte di Genova è di esempio!
*Economista