“Quando c’è in giro tanta pietà per gli animali, pochissima ne resta per l’uomo”
(Leonardo Sciascia, Nero su nero)
di Mario Caspani •
Imbalsamato al Museo di storia naturale di Coira (Svizzera) fa bella mostra di sé un orso chiamato JJ3, abbattuto in territorio elvetico nell’ormai lontano 2009. Se il nome non vi suggerisce niente è perché da noi le notizie – e le correlate roventi polemiche – durano lo spazio di pochi giorni. In effetti JJ3 era fratello di quell’orsa “battezzata” JJ4 che pochi mesi fa ha attaccato e ucciso lo sfortunato runner Andrea Papi in Val di Sole, Trentino, nei pressi della località di Caldes (e non quindi in alta montagna).
Si è trattato della prima aggressione mortale a un uomo da parte di un orso da oltre cent’anni, dopo però alcuni casi di aggressioni non mortali. I plantigradi, infatti, nell’arco alpino italiano, e in particolare in Trentino, si erano estinti sin dai tempi in cui le province autonome di Trento e Bolzano altro non erano che il Sudtirol di austroungarica memoria.
Tra il 1999 e il 2004 la provincia autonoma di Trento pensò di reintrodurli nelle vallate trentine con il progetto denominato Life Ursus e, allo scopo, propose un referendum tra la popolazione. Peccato che il quesito venne sottoposto a poche migliaia di famiglie prevalentemente residenti nei centri urbani più popolosi, e in misura nettamente minore ai valligiani che poi con gli orsi avrebbero dovuto vedersela di persona.
Dato che i “cittadini” votarono a favore, il progetto decollò e vennero importate alcune coppie di orsi dalla Slovenia (animali tra l’altro di stazza superiore rispetto agli estinti autoctoni o a quelli dell’Appennino abruzzese).
Dopo una ventina d’anni sembra che la popolazione di orsi trentini si sia moltiplicata, al punto di superare ad oggi i 100 esemplari.
Non solo. Gli svizzeri hanno verificato che alcuni di essi “emigrano” lungo le vallate alpine in cerca di nuovi ambienti e stimano che mediamente 5 esemplari all’anno sconfinino in territorio elvetico. Il già citato JJ3 con un altro fratello, JJ2, ne sono esempi.
Ma perché si arrivò al suo abbattimento? Premessa: i piani per la gestione della presenza di tali animali in Italia e Svizzera sono molto simili, tanto è vero che la classificazione degli orsi ai fini del loro controllo è la stessa in entrambi i Paesi (“discreto”, “problematico” e “pericoloso”).
Cito ora da un servizio di tv svizzera.it le parole di Paolo Molinari, zoologo, che tra il 2007 e il 2008 fu chiamato a studiare e monitorare il comportamento di JJ3, oltre che ad organizzare le operazioni di dissuasione sopratutto negli ambienti antropizzati:
“Con JJ3 applicammo per un anno tutte le misure di dissuasione previste dal piano, dai pallettoni di gomma ai cani anti orso, fino ai recinti elettrificati, ma il suo comportamento non cambiava e siccome gli svizzeri sono pragmatici, le autorità diedero l’ok all’abbattimento, poi eseguito in pochi giorni”.
Claudio Groff, responsabile settore grandi carnivori del servizio faunistico della provincia di Trento, nello stesso servizio afferma.
“hanno abbattuto anche un altro orso, M13 nel 2013, prima che aggredisse qualcuno, un efficace esempio di gestione faunistica che dà priorità alla sicurezza delle persone, mentre in Italia c’è un approccio più ideologico, anche delle istituzioni, e più superficiale dal punto di vista tecnico”.
La differenza sta tutta qui.
Gli svizzeri, “pragmatici” – o sarebbe meglio dire realistici e non condizionati da minoranze che gli orsi li vedono solo in televisione ma non li incontreranno mai dal vivo – alla base dei loro programmi di protezione della vita animale selvatica e anche potenzialmente pericolosa per l’uomo, mettono sempre un punto fermo e invalicabile: prima di tutto la sicurezza dell’uomo.
Controllano che gli orsi “sconfinati” non si comportino in modo problematico e, se del caso, intervengono.
Inoltre, il già citato zoologo, a precisa domanda se in Svizzera sarebbe possibile replicare un programma di reintroduzione dell’orso come avvenuto in Trentino, risponde “Non manca chi sogna qualcosa del genere, ma escludo che le autorità competenti possano mai autorizzarlo. La convivenza con l’orso può rivelarsi molto difficile e lo Stato non si sottopone volontariamente a un rischio del genere.”
Chiarissimo. Da noi invece si fanno progetti per reintrodurre un animale “potenzialmente pericoloso” in un territorio che ha subito profonde modifiche dall’epoca della sua scomparsa, con una densità abitativa molto accresciuta rispetto a quei tempi e un flusso turistico/escursionistico all’epoca inesistente.
E quando succede qualche guaio, nonostante la prevenzione, alla fine comanda il TAR che nel caso di JJ4, l’orsa che ha ucciso, per ben tre volte ha negato l’autorizzazione all’abbattimento, la prima nel 2020, tre anni prima che il povero Papi facesse la sua ultima corsa nella natura.
Ma se facessero ora un referendum nelle valli popolate da orsi immagino risultati diversi da quelli di qualche anno fa.
Come ricordavano gli esperti citati in precedenza, è il frutto di un atteggiamento ideologico e non pragmatico di fronte alla realtà dei fatti. Un po’ la stessa situazione che abbiamo visto nelle recenti alluvioni, dove un ambientalismo ideologico e miope preferisce cianciare di necessità del “ritorno alla natura”, oppure di velleitarie misure per combattere il riscaldamento climatico, piuttosto che affrontare seriamente la questione della prevenzione su territori fortemente urbanizzati e con coltivazioni intensive.
Del resto siamo Italiani, non Svizzeri.