di Brunella Trifilio •
Quante volte, durante la nostra vita lavorativa, abbiamo ascoltato aforismi motivazionali, condividendoli senza esitare. “A livello individuale siamo una goccia. Insieme siamo un oceano.” (Ryunosuke Satoro, scrittore giapponese). “Se tutti avanziamo insieme, il successo arriverà da solo.” (Henry Ford, industriale americano e fondatore della Ford Motor Company). “Un uomo può essere un elemento cruciale di un team, ma da solo non fa una squadra.” (Kareem Abdul-Jabbar, ex giocatore di basket professionista americano). Sono solo alcune delle frasi celebri utilizzate dagli imprenditori per motivare i lavoratori a “camminare” insieme con l’obiettivo di potenziare economicamente le proprie aziende.
Se i lavoratori devono fare “gioco di squadra” nell’interesse dell’azienda, perché dovrebbero esitare a coordinarsi nel loro interesse e per il bene dell’intera società di cui sono pilastri portanti? Sorvolando su alcune critiche, più o meno recenti, indirizzate al mondo sindacale, la domanda sembrerebbe inutilmente scontata. Critiche sulle quali dobbiamo invece riflettere perché ci riportano indietro nel tempo, agli albori della Rivoluzione industriale oppure al ventennio fascista. La tentazione di disgregare i lavoratori non ha mai completamente abbandonato una determinata categoria di pensatori, anche i più populisti. In fondo, può capitare che si parli da un comodo salotto, addirittura in nome del popolo, senza capirne neanche i bisogni più elementari.
Se gli aforismi sul valore della squadra sono funzionali all’impresa come alla condivisibile strategia d’aggregazione dei suoi dipendenti, Il Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpeda richiama, meglio di qualunque argomentazione al riguardo, il senso della necessaria aggregazione dei lavoratori in quanto persone legate dallo stesso vincolo di subordinazione al datore di lavoro. La tela, simbolo delle conquiste nel segno dell’aggregazione, ci restituisce la memoria di ciò che il sindacato ha fatto per l’affermazione dei diritti delle persone, come lavoratori e cittadini, ma anche di quanto dovrà ancora fare in una società sempre più individualista.
Il dipinto contiene un messaggio sociale inequivocabile: uniti si vince. Il periodo immortalato nella tela è quello delle prime conquiste del lavoro, ma il messaggio è straordinariamente attuale. Il corteo procede compatto e dignitoso, senza differenze di genere e d’età (i diritti sono per tutti), da un passato ormai alle spalle ma privo di diritti elementari (il buio in fondo alla tela), verso un futuro di conquiste imminenti (la luce sulla strada). Viene facile immaginare i personaggi che precedono questa “fiumana” di gente come una guida indispensabile a rafforzarne la sua “potenza” (il sindacato). Così come è difficile ignorare, nella realtà attuale, la potenzialità contrattuale dei lavoratori uniti nelle loro mutevoli rivendicazioni dei tempi moderni.
Guardare al futuro e sapersi adattare al cambiamento è fondamentale, ma per poterlo fare con dignità ed efficacia bisogna guardarsi indietro, alla strada già tracciata dai lavoratori che hanno saputo aggregarsi – senza timori – in nome dei diritti. Grazie a questo “occhio retrospettivo”, ritroveremo le durissime condizioni di lavoro che hanno preceduto la nascita delle prime forme di organizzazioni sindacali: orari insostenibili, salari da fame, occupazione minorile, mancanza di sicurezza. Quando, non senza fatica, si riuscirà ad arrivare alle prime forme di associazionismo dei lavoratori, le condizioni di lavoro cambieranno sensibilmente. Con l’accettazione della nuova realtà – l’indiscusso potere contrattuale dei lavoratori uniti – gli imprenditori riconosceranno finalmente salari più adeguati, la giornata lavorativa di otto ore, maggiore sicurezza e tutele per malattia e invalidità. I Governi, a loro volta, riconosceranno gradualmente diritti fondamentali come quello di voto, perché le rivendicazioni del mondo sindacale si sono sempre accompagnate al desiderio di affermare la democrazia e la pace sociale.
Oggi, nei paesi dominati dal libero mercato, grazie alla contrattazione collettiva, sembra tutto molto scontato; ma il pericolo di perdere i diritti acquisiti o di non poterne conquistare altri più in linea con le nuove esigenze (work-life balance, riduzione dell’orario di lavoro a parità di stipendio, stabilità, inclusione, sicurezza, sostegno alla disabilità ed alla terza età, ecc.) è sempre dietro l’angolo. In una società individualista connotata da forti disuguaglianze sociali ed economiche – oggi più di ieri – non si può correre il rischio di dividere i lavoratori andando così più facilmente incontro alla contrattazione individuale.
Se l’emancipazione nel lavoro, non può prescindere dalla forza dell’unione dei lavoratori, la consapevolezza dei singoli può fare la differenza. La forza dell’aggregazione non può bastare senza la consapevolezza dei propri diritti individuali e la passione verso quelli comuni. Perché “Un uomo che lavora con le sue mani è un operaio; un uomo che lavora con le sue mani e il suo cervello è un artigiano; ma un uomo che lavora con le sue mani, il suo cervello e il suo cuore è un artista” (San Francesco d’Assisi). La consapevolezza di non essere nati per diventare parti meccaniche di un circuito manovrato dai forti è come un’ispirazione a diventare artisti della propria “buona vita” valorizzando la propria individualità, ma con occhi e cuore profondamente attenti al valore dei diritti comuni.