di Nino Lentini ∙
In Italia, nonostante le belle parole che i nuovi governanti ci propinano attraverso televisioni, radio e carta stampata, la disoccupazione aumenta. I giovani non trovano lavoro e sono costretti a migrare, anche oltre confine, mentre la povertà impera. Mi viene in mente la Costituzione e quanto di meraviglioso è contemplato in essa. Per ricordarlo anche a me stesso, vediamo quindi cosa recita la nostra Carta Costituzionale agli articoli 1 e 4.
Art. 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 4: La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Dopo aver letto e riletto questi due articoli della nostra Costituzione, ci rendiamo conto di come, nella realtà, nessuno – in particolare chi, di volta in volta, sale al governo del Paese – abbia mai tenuto conto di quanto sancito dai nostri padri fondatori. Molti, infatti, non pensano al bene comune, ma soltanto a interessi di parte, con l’intento di far ingrossare il proprio portafogli. Eppure basterebbe così poco per far rifiorire questa nostra bella Italia, attraverso l’emanazione di leggi e tutele a favore del popolo sovrano.
Ma niente di tutto questo viene fatto. E allora le imprese, affogate dalle tasse, sono costrette a licenziare perché non riescono a sostenere i costi di un lavoro che diventa sempre più pesante, se non addirittura a chiudere i battenti. Alla fine del 2024, l’anagrafe delle imprese italiane registra un bilancio positivo, con un saldo tra aperture e chiusure che si attesta a +36.856 unità nei dodici mesi da poco conclusi.
I settori più a rischio restano quelli manifatturieri e del commercio, mentre le piccole e medie imprese, con risorse finanziarie più limitate, potrebbero essere le più vulnerabili. Quante imprese, infatti, negli ultimi anni, sono state costrette – loro malgrado – a dire basta e chiudere l’attività, con la conseguenza di dover mandare sul lastrico intere famiglie? Quanti, di fronte a questa situazione, cambiano aria, nel senso che sono costretti a reimpostare altrove la propria vita, familiare e lavorativa? Chi può, lo fa; ma molti altri non riescono più a sbarcare il lunario. Basterebbe fermarsi un attimo, rileggere gli articoli 1 e 4 della Costituzione e recitarli ad alta voce, tutta d’un fiato: “L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, promuovendo le condizioni per rendere effettivo questo diritto.”
È un diritto per tutti poter lavorare, e non può essere – come accade oggi – necessario mendicare questo diritto. Non si può essere costretti a bussare alla porta di questo o quel personaggio per chiedere ciò che è costituzionalmente sancito. Non si può e non si deve mendicare per avere un lavoro e, spesso, vedersi sbattuta la porta in faccia.
Non si può e non si deve tollerare che la povera gente sia umiliata e costretta a mendicare perché rifiutata ingiustamente e abbandonata in mezzo a una strada.
Non si può e non si deve accettare che i ricchi diventino sempre più ricchi sulla pelle del popolo, mentre chi è in difficoltà non ha nemmeno un tozzo di pane per sfamare se stesso e la propria famiglia – per chi ancora ne ha una.
Non si può e non si deve vivere di miseria solo perché chi governa non fa nulla per cambiare questo stato di cose, ma pensa esclusivamente al proprio tornaconto personale. Non si può più. Ed allora, è forse giunto il momento di applicare a pieno l’articolo 1 della Costituzione, laddove afferma: “La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.”
È giunto il momento che il popolo sovrano si ribelli, in modo civile e democratico, e riprenda ciò che è suo: la sovranità, per fare scelte basate su rispetto, democrazia e solidarietà.