Il Servizio Sanitario Nazionale non può rinunciare ai principi di universalità, uguaglianza, equità.
di Brunella Trifilio ∙
Il nostro ultraquarantenne Servizio sanitario nazionale (SSN), nato dalla legge 833 del 1978 per curare (senza distinzioni) tutti i cittadini bisognosi d’assistenza, sembrerebbe “gravemente ammalato”. Da una parte i cittadini necessitanti di cure e sostegno, dall’altra un sistema sanitario e assistenziale nato per farvi fronte ma che domanda, a sua volta, interventi immediati “per non morire”.
Questo bizzarro corto circuito tra assistente e assistito, che li pone quasi sullo stesso piano di disagio, impone riflessioni urgenti sulle garanzie sancite dall’articolo 32 della nostra Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti…”. Da una parte, la teoria del nostro civilissimo SSN concepito sui principi dell’universalità (unitarietà dei livelli d’assistenza su tutto il territorio), dell’uguaglianza (erogazione dei servizi in assenza di discriminazioni e distinzioni individuali, sociali ed economiche) e dell’equità (parità d’accesso alle prestazioni in relazione a uguali bisogni di salute).
Dall’altra, l’eterogenea realtà quotidiana delle tante difficoltà d’accesso alle cure mediche e all’assistenza per tutti senza stress, appesantimenti dei bilanci familiari, differenze territoriali, reddituali e sociali. Se ci si allontana dai principi fondativi del nostro SSN, si rischia di allontanarsi dai valori espressi dall’articolo 32 della nostra Costituzione con la conseguenza di compromettere, insieme alla salute della collettività, la stessa dignità dei cittadini italiani.
Questo non può e non deve accadere. Eppure, la paura di perdere il facile accesso alle cure mediche o di dover rinunciare all’assistenza prevista per i familiari più fragili (disabili, bambini e anziani) sembrerebbe una delle più grandi preoccupazioni nazionali. Una paura che nasce dalla sensazione di trovarsi di fronte ad una vera e propria emergenza: strutture di Pronto Soccorso al collasso; crisi del personale sanitario; frattura sanitaria e assistenziale tra Nord e Sud; crescita della spesa sanitaria familiare; rinuncia alle cure e alla prevenzione; insufficienza dei servizi di supporto sanitario e assistenziale agli anziani e marcate differenze territoriali d’accesso. Il continuo e progressivo definanziamento del SSN sembrerebbe non aver risolto lo storico problema degli sprechi, contribuendo al peggioramento della situazione.
Qualunque sia la causa dell’attuale stato delle cose, ne sono ormai evidenti le conseguenze, prima fra tutte la pesante ripercussione (aumento della spesa out-of-pocket) su bilanci familiari già molto impoveriti. Chi non può curarsi a proprie spese, rinuncia alle cure e principalmente alla prevenzione. Secondo l’ISTAT, nel 2023, 4,48 milioni di persone hanno rinunciato a visite specialistiche o esami diagnostici, pur avendone bisogno. I motivi di questa rinuncia sembrerebbero tanti: tempi d’attesa troppo lunghi; difficoltà d’accesso alle prestazioni per la lontananza della struttura sanitaria o per la mancanza di mezzi di trasporto; reddito insufficiente. Alcune informazioni fornite dalla piattaforma web “Noi Italia 2024”, nell’area tematica relativa alla salute e al welfare, ci permettono di osservare la situazione recente, anche nel confronto regionale e con riferimento al contesto europeo.
Anche la Fondazioni GIMBE ci fornisce dati che restituiscono un quadro d’insieme piuttosto preoccupante (cfr. 7° Rapporto sul Servizio Sanitario Nazionale) tra i quali il divario della spesa sanitaria pubblica pro capite rispetto alla media dei Paesi Ocse membri dell’Unione Europea. Con riferimento all’Europa e al 2021 (cfr. Noi Italia 2024), l’Italia risulta il Paese con il più basso livello di posti letto ospedalieri ogni mille abitanti (3,1) con l’aggravante di un valore ancora peggiore nelle già disagiate regioni meridionali (2,7).
Ad aggravare ulteriormente le note differenze interne al Paese contribuisce l’emigrazione ospedaliera tra Regioni, con evidenti conseguenze negative sui bilanci familiari e regionali del Mezzogiorno che da questo fenomeno viene ulteriormente impoverito. Le risposte concrete al crescente invecchiamento della popolazione, in termini di servizi domiciliari e residenziali, sono ancora insufficienti ed eterogenee. Non esiste ancora un sistema unitario di assistenza domiciliare per la non autosufficienza. L’Assistenza domiciliare integrata (ADI) offre prestazioni limitate e frammentarie con una media di circa 16 ore annue d’assistenza per ogni anziano, con la conseguenza di un carico finanziario familiare non più sopportabile o l’alternativa rinuncia del caregiver al proprio lavoro (nell’impossibilità di sostenere i costi dell’assistenza privata).
Ci si chiede inoltre se la chiusura di moltissimi ospedali non abbia favorito gli sprechi invece che ridurli (cosa dire delle enormi distanze percorse dalle ambulanze nella ricerca di un ospedale che abbia la possibilità di accogliere il paziente?) e accentuato i pericoli per la vita dei cittadini in emergenza sanitaria (strutture di primo soccorso estremamente decentrate e sovraffollate). In un contesto d’indebolimento del SSN, le strutture private accreditate finiscono con il sostituirsi a quelle pubbliche, di fatto fagocitandole.
Un’altra criticità è la recente crisi del personale sanitario. L’emigrazione dei medici italiani verso Paesi esteri, che destinano maggiori risorse alla Ricerca e alla Sanità pubblica e che sono in grado di retribuire adeguatamente la loro professionalità, non può lasciare indifferenti. Tanta la disaffezione e la frustrazione del personale sanitario a causa di turni massacranti o stipendi non soddisfacenti rispetto alla professionalità espressa, delle scarse possibilità di carriera in relazione alle capacità, dell’escalation dei casi di violenza nelle strutture di Pronto Soccorso.
Quanto ai Livelli essenziali d’assistenza (LEA), il divario tra Nord e Sud, mette ancora una volta in discussione i principi fondativi del nostro SSN. Per quanto riguarda le prestazioni che il SSN dovrebbe garantire a tutti i cittadini (gratuitamente o dietro pagamento del ticket), se si guarda ai dati del 2022, si nota che solo poche Regioni riescono a rispettare gli standard essenziali di cura, con ulteriore accentuazione del divario Nord/Sud.
Molto preoccupanti sono le differenze territoriali d’assistenza in ambito pediatrico. Non si arresta la tendenza delle famiglie del Sud ad affrontare “viaggi della speranza” per i propri figli (bambini e adolescenti) per ricevere cure pediatriche nei centri specialistici del Centro-Nord (principalmente Roma, Firenze e Genova). Sulla base di recenti valutazioni del CREA (Centro per la ricerca economica applicata in sanità) il 6,1% delle famiglie italiane è in povertà sanitaria (difficoltà o rinuncia a curarsi) con un Sud che raggiunge la preoccupante percentuale dell’8%.
Un Sud al collasso sanitario, con una speranza di vita anche minore (di 1,5 anni) e un tasso di mortalità per tumore sempre più preoccupante nel confronto con il Nord del Paese. La sensazione, in ambito sanitario, è quello di un Paese inesorabilmente disgregato dalle diversità territoriali, economiche, sociali. Di fronte a tutto questo, ci si chiede come possano sopravvivere ancora i principi di universalità, uguaglianza ed equità e come rimediare all’emergenza.
Le possibilità concrete per un’inversione di tendenza sono tante, basterebbe prenderle in decisa considerazione. Aumentare le risorse da destinare alla Sanità pubblica non potrà bastare se non si programma una riorganizzazione davvero efficiente ed efficace del SSN. Una buona digitalizzazione sanitaria potrebbe migliorare l’accessibilità ai servizi e ridurre gli sprechi, ma non senza un’adeguata “alfabetizzazione digitale” da parte degli utenti e del personale sanitario.
Ridurre gli sprechi e le inefficienze del SSN (sovra-utilizzo di prestazioni sanitarie inappropriate e sotto-utilizzo di quelle efficaci, inadeguato coordinamento, acquisti non razionali, sprechi da mobilità per le ambulanze che devono percorrere lunghi tratti per raggiungere ospedali lontani a causa della chiusura di molte strutture di prossimità…) è fondamentale. Ma prima di operare qualsiasi scelta esecutiva per migliorare la situazione attuale, bisognerebbe rafforzare l’idea che l’Italia è un Paese unico e indivisibile, anche in ambito sanitario. Un Paese progredito e democratico, con un Servizio Sanitario Nazionale “orgoglioso” dei suoi principi fondativi, dei suoi medici e dell’articolo 32 della Costituzione italiana.