di Walter Frangipane •
L’emergenza COVID ha puntato i riflettori su due strumenti finanziari: il Recovery Fund (Next Generation EU) e il Fondo Salva Stati M.E.S. (E.S.M. in inglese), oltre che sui vaccini, naturalmente. Ma andiamo per ordine. Il Recovery e il M.E.S. sembrano strumenti finanziari somiglianti, ma non è così, se non per il fatto che entrambi emettono prestiti attraverso bond, per raccogliere disponibilità finanziarie. Anche se forse è più semplice chiamarlo Recovery Fund, sarebbe più corretto chiamarlo invece “Nex Generation EU”, perché non fa parte dei “Fondi Strutturali e Indiretti” del Fondo Sociale Europeo, quei Fondi cioè che sono sì erogati dall’Unione Europea, ma poi vengono “gestiti” dai Paesi europei come i P.O.N. (Programmi Operativi Nazionali) e i P.O.R. (Piani Operativi Regionali). Per inciso, voglio solo aggiungere che nell’ambito del programma Horizon, i Fondi Diretti del Fondo Europeo di Sviluppo sono invece “erogati ed anche gestiti” dall’Unione Europea. Ma il “Next Generation EU” non è un Fondo; non lo è per un elemento fondamentale e importante che è quello della “condizionalità”.
Per fare un esempio, se il governo decide di costruire un tunnel o una variante autostradale, non basta realizzarla, ma deve dimostrare i benefici potenziali in termini economici, deve cioè dimostrare che quell’opera favorisce nuovi insediamenti industriali nella zona attraversata, porta nuova occupazione, aumenta l’indotto delle imprese circostanti, produce insomma valore aggiunto. Solo dopo la realizzazione di tali obiettivi economici dimostrabili, l’Italia potrà ottenere il rimborso. Alcuni Economisti parlano, in quest’ottica, di “condizionalità aggravata”. Forse perché noi italiani siamo bravi a realizzare opere pubbliche, come per esempio strutture ospedaliere, strutture carcerarie etc., ma poi esse non vengono aperte o se aperte non utilizzate a pieno regime e restano lì a deteriorarsi, e questo ahimè in passato si è verificato anche con i Fondi Strutturali e Indiretti.
Ma il Recovery ha tante altre “condizionalità” che approfondirò in seguito. All’inizio il Fondo viene erogato solo per il 10% dei programmi vagliati dall’U.E., per avviare la realizzazione dei progetti, mentre il restante 90% sarà erogato solo al raggiungimento degli obiettivi che ho appena citato e che sono concordati a priori tra Commissione Europea e Governo, il quale sarà per così dire incalzato, perché dovrà realizzare i progetti in tempi brevi, a seconda del progetto appunto, e comunque non oltre il traguardo temporale di 6 anni. Quindi bisognerà attenersi rigorosamente alle linee guida dell’Unione Europea, altrimenti scatterà il così detto “freno di emergenza”, che è stato avanzato dai Paesi nordici dell’Europa: non è un vero e proprio “veto”, ma è un meccanismo regolatorio e di controllo che potrebbe immediatamente sospendere l’erogazione delle risorse finanziarie.
La precedente compagine governativa ha già individuato 6 macro aree (mission) che saranno interessate dal Recovery. Forse, però, il Piano andrebbe meglio ridisegnato e dovrebbe peraltro delineare una “strategia di governance” che non sembra ben definita. Ma il tempo per farlo ancora c’è, anche se è ristretto, perché l’Europa mai come in questo tempo è oltre modo ben disposta verso l’Italia. È un momento favorevolissimo per il nostro Paese, che è il Paese maggiormente colpito dai decessi COVID, e questo ha colpito molto la sensibilità di Ursula von der Leyen, che è un medico!
Ma poi bisognerà procedere con “passo veloce” alle riforme. Ne cito due importanti, sperando di ritornare in seguito sulle altre. La “Giustizia”, per lunghezza dei processi e i costi: i richiami dell’Unione Europea sono diventati sempre più veementi. La riforma della “Pubblica Amministrazione”.
Da uno studio di qualche anno fa, promosso dall’Unione Europea, si è rilevato che, a differenza di altri Paesi europei, nella nostra Pubblica Amministrazione ci sono pochi «laureati» “shortage of graduates”, pochissimi esperti della così detta “data science”, della statistica e della finanza. Occorre, pertanto, rivedere le carriere, i meccanismi di assunzione, di promozione e di adeguata collocazione e valorizzazione delle professionalità già esistenti, con princìpi che dovranno essere chiari e trasparenti, se vogliamo che la “macchina pubblica” funzioni e funzioni al meglio.
Peraltro almeno queste riforme citate (delle altre ne parlerò in seguito) sono a costo pressoché zero, e quindi hanno poca incidenza sul Recovery. Da queste riforme, come dalle altre, dipende anche il contenimento della spesa pubblica e il successo per il nostro Paese del Recovery stesso.
Un accenno al M.E.S. (Economic Mechanism of Stability – E.M.S.). Se il ricorso a questo strumento rimane circoscritto alla linea di “Pandemic crisis support” (Sostegno alla crisi pandemica), non vi è alcuna condizionalità, come nel Recovery, quindi nessuna Troika. Ma sarà il nuovo governo a valutare l’opportunità e la convenienza al ricorso al M.E.S. nella misura già approvata di 36 miliardi di euro o a un ricorso parziale, o per nulla. Però intanto il nostro Paese potrebbe anche accedere al M.E.S., senza necessariamente prelevare i fondi.
Infine i VACCINI. Essi sono l’elemento fondamentale per uscire dalla crisi pandemica ed aiutarci sulla ripresa economica. Abbiamo iniziato bene con la somministrazione dei vaccini, ma abbiamo avuto poco dopo dei problemi sull’approvvigionamento.
Una cosa è certa: bisogna raggiungere presto l’immunità di gregge e ha detto bene un eminente epidemiologo statunitense che ha scritto in questi giorni su The New York Times: “It may take close to 90 percent immunity to bring the virus to a halt, almost as much as is needed to stop a measles outbreak”. “Potrebbe essere necessario quasi il 90% di immunità per arrestare il virus, quasi quanto è necessario per fermare un’epidemia di morbillo”. Credo che questa affermazione sia molto importante.