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Le “conseguenze economiche della crisi bellica”

di Walter Frangipane ∙

La guerra della Russia contro l’Ucraina porterà l’economia mondiale verso una nuova crisi. La ripresa economica che con tanta fatica cominciava a muovere nuovi passi, dopo la pandemia del COVID, è come se venisse ora in un certo senso soffocata non poco dalle conseguenze causate dall’evento bellico che si colloca a ridosso dei confini dell’Unione Europea. Non è chiaro quello che avverrà dopo, nessuno può fare previsioni, però la storia insegna che le crisi e le guerre cambiano molto, se non proprio tutto. Infatti già dopo la seconda guerra mondiale, dalle rovine della vecchia Europa è emerso un nuovo ordine globale, la creazione dell’O.N.U., il Piano Marshall etc., con l’obiettivo della ripresa del vecchio continente e sopra tutto nel tentativo di evitare che gli effetti di una guerra, che erano stati così devastanti, come era successo con la seconda guerra mondiale, si ripetessero. Certo non sono mancate le crisi finanziarie nei decenni successivi; i governi, sopra tutto dopo la crisi finanziaria globale dal 2007 al 2009, hanno rafforzato il controllo sui mercati e sulle banche e sulla complessità dei loro prodotti.  La pandemia di COVID-19 ha indotto ad aprire nuove frontiere, dissolvendo le preoccupazioni che erano ancora radicate avverso la digitalizzazione, poiché fra l’altro sempre più persone sono finalmente arrivate ad apprezzare i vantaggi del lavoro a distanza. Ma ora la guerra è comparsa proprio in Europa, voluta da un uomo il quale ha ritenuto di non poter accettare l’evolversi della storia di alcuni popoli europei, e quindi di voler correggere gli errori politici – secondo il suo modo di leggere la storia – nell’evoluzione della storia stessa dal recente passato post-bellico.

Si tratta di un uomo che ha ahimè in mano il potere e il controllo pieno di un Paese che rappresenta una super potenza economica militare e nucleare, dotata di sovrabbondanti risorse minerarie. Ma tutte le ricchezze che sono state realizzate attraverso la vendita delle materie prime provenienti dal sottosuolo non sono state messe bene a frutto per allineare il Paese e metterlo al passo con quei Paesi che hanno dato forte spinta al progresso tecnologico, perché sono state invece destinate verso obiettivi strategici  militari nonché, con grande copiosità e dispendio di risorse finanziarie, in particolare verso lo sperpero della ricchezza in beni come yacht lussuosissimi, grandi proprietà immobiliari sparsi nel mondo occidentale sopra tutto, verso considerevoli partecipazioni in importanti imprese strategiche, verso l’acquisizione di prestigiose squadre di calcio etc. da parte degli oligarchi di quel Paese. Ora stiamo a guardare tutti attoniti e preoccupati a una guerra condotta molto brutalmente (distruzione di ospedali, scuole, di asili, di condomini, di palazzi, strade, impianti di produzione di beni primari e non, morte di civili, di donne, di bambini, oltre che dei contrapposti belligeranti, con tutti gli orrori che via via si scoprono e si scopriranno e con tutti i crimini nel “crimine” qual è la guerra) e senza che alcuno possa farsi una chiara idea di chi porrà fine al conflitto e in che modo: ma fino a che punto è pronto ad andare avanti o a fermarsi il capo del Cremlino?

Stiamo assistendo su un altro versante anche all’unità tra i paesi occidentali determinati a imporre sanzioni della massima severità e sempre più crescenti. Il rublo è ormai traballante con rischio di precipitare, i rating del credito stanno raggiungendo, se non hanno raggiunto già, lo status quasi di spazzatura e gli investitori finanziari stanno lasciando il paese a nugoli. Ma queste sanzioni produrranno gli effetti desiderati, anche se non immediatamente? Le sanzioni stanno veramente colpendo i vertici di quel Paese, lasciando sempre meno spazio alle loro manovre economiche? O piuttosto sono ancora una volta le persone comuni che stanno soffrendo le conseguenze delle sanzioni? Chiuse alcune fabbriche perché non arrivano dall’estero gli “hi tech” e componenti assimilati come i microchip, quelli cioè importanti delle automobili (già carenti peraltro in Europa nel post pandemia), chiuse alcune catene internazionali (Coca, iPhone, Levi’s, McDonalds, malamente rimpiazzata, etc.) Allo stesso tempo è anche vero che i Paesi dell’Europa occidentale stanno soffrendo. Infatti a causa della forte dipendenza dal petrolio ma sopra tutto dal gas russo, tutti sono preoccupati di come proteggere le loro industrie dalle ricadute della diminuzione delle forniture di combustibili fossili.

Molti europei stanno già pensando al prossimo inverno 2022-2023, perché il gas russo non si rimpiazza in pochissimi mesi. Le preoccupazioni emergono via via nella vita di tutti i giorni, sopra tutto se si innesca la preoccupazione dell’aumento dei prezzi dei carburanti, cosa questa riconducibile notoriamente alle forti speculazioni all’avvio della fase post pandemica, anziché alla crisi bellica russo-ucraina. Ma in un quadro economico complessivo e globale potremmo essere solo all’inizio, presumibilmente! Alcuni elementi, per esempio il nichel, che è essenziale per la produzione dell’acciaio è fornito in larga misura dalla Russia, ha avuto un aumento in poco tempo del 50%. Si potrebbero fare altri esempi come il palladio, l’alluminio, neon, xeno e via di seguito: di tutti questi la Russia è il principale produttore e bisognerà, quindi, rivolgersi altrove per approvvigionarsi. Per non parlare dei prodotti alimentari (grano e mais provenienti dall’Ucraina, in particolare, le cui coltivazioni sono distrutte a causa dei bombardamenti). Sembra, altresì, profilarsi “a perfect storm for the global economy” (una tempesta perfetta per l’economia globale), come ha scritto un prestigioso giornale economico inglese. Tutto questo in una situazione in cui molte risorse finanziarie di tanti Paesi sono state per così dire assorbite per il sostegno alle famiglie e alle imprese a causa della pandemia. A questo punto ci si pone in Europa la domanda: come finanziare “the rescue funds” (i fondi di salvataggio) nonché “the economic stimulus packages” (i pacchetti di stimolo economico) che appena si profilano? 

Alcuni governi dell’Unione Europea, come anche quello italiano, e in particolare la Germania, la più dipendente dal gas russo, stanno approntando celermente dei “piani” per distaccare le economie dai prodotti energetici russi. A dire sembra facile, a fare è invece molto complicato, anche perché riempire gli stoccaggi del continente europeo anziché di gas russo, che arriva attraverso i gasdotti, ma di G.N.L. “Gas Naturale Liquefatto (in inglese L.N.G Liquefied Natural Gas) avrà un costo enorme. Infatti il gas deve subire dei processi di raffreddamento e condensazione affinché il volume diminuisca di 600 volte, al fine di poter essere trasportato con le metaniere, ma poi arrivato ai terminali di destinazione dovrà essere immagazzinato e destinato ai rigassificatori per essere poi immesso nella rete di distribuzione del gas: si comprende bene la lievitazione dei costi.   Certamente la Russia, al di là delle diatribe sul pagamento del gas in rubli anziché in euro o in dollari, ci penserà mille volte prima di chiudere i suoi gasdotti verso l’Europa, e comunque non prima di aver realizzato altre condutture verso la Cina, come sta già facendo, la quale è molto desiderosa di assicurarsi le materie prime che non ritiene sufficienti di avere sul proprio territorio e che sono ad essa necessarie per allargarsi su nuovi mercati.

Indubbiamente non è per niente semplice ferire economicamente e in maniera molto incisiva il capo del Cremlino, che è ben accomodato su una grossa pila di denaro contante accumulato per tempo, con pochi debiti da saldare, e che sta realizzando nuove alleanze economiche con i Paesi orientali. A soffrire molto, a causa delle sanzioni, è sopra tutto l’Europa, cioè chi le sanzioni le ha messe in atto, più che gli U.S.A., che hanno maggiore autonomia rispetto a noi, ma questo non significa che non dobbiamo affrontare sacrifici ulteriori, pur di essere solidali con un popolo aggredito, che stava assaporando la libertà e la democrazia, dopo la cortina di ferro, come del resto hanno fatto i Paesi europei e fra cui anche l’Italia. Le ricadute dell’invasione russa ridurranno la crescita globale dei Paesi europei e aumenteranno l’inflazione nel prossimo anno, mentre l’impatto dell’embargo verso quel Paese è, secondo molti analisti di geo-politica, un prezzo che vale la pena pagare!  Pertanto affrontare l’immediato futuro diventa oltre modo più difficile, perché bisogna comunque risolvere altri problemi urgenti dell’umanità, quali fra l’altro la lotta al cambiamento climatico, in un momento in cui le Economie dei Paesi occidentali sono ferite dalla crisi bellica e in un momento in cui ci sono perplessità che l’Economia possa avere quei livelli di crescita auspicati e che peraltro si erano già delineati con la ripresa economica, dopo la fase pandemica.  E quindi, in termini costruttivi, ma anche in un certo senso sintetici, cosa si può immaginare sulle probabili conseguenze dell’invasione russa in Ucraina e sulle risposte dei Paesi occidentali? Senza dubbio le sanzioni economiche e finanziarie porteranno nei mesi a venire la Russia verso la recessione, non si può supporre, però, quanto possa essere profonda o no la recessione in quel Paese, di cui non si conosce molto, ma i primi effetti inizieranno già a farsi sentire fra un po’, come i gravi vincoli di cambio, per la caduta del rublo, la massiccia carenza di beni in diversi settori dell’Economia russa, le aspettative delle famiglie le quali vedranno che le cose andranno a peggiorare anziché a migliorare. 

Ma anche l’Occidente ha già avvertito “the stagflationary blowblack” cioè il contraccolpo della “stagflationary”: è così definita una sorta di inflazione che può essere più o meno forte se combinata con una crescita economica bassa se non addirittura negativa.

Si delineano anche in Italia, oltre che nei Paesi dell’Unione, delle interruzioni sulle catene degli approvvigionamenti, l’aumento dei costi di trasporto, l’aumento del costo delle materie prime, anche di quelle alimentari e conseguente aumento dei prezzi, per cui gli importatori di materie prime appunto avranno grande difficoltà a trasferire ai consumatori l’aumento dei costi, mentre i produttori delle materie prime (all’estero in particolare) avranno ampi guadagni dall’aumento dei prezzi; molte aziende che esportavano in Russia subiranno significativi cali di produttività con rischio di perdite economiche determinate dalla gestione produttiva in senso lato e da quella corrente e funzionale in senso stretto. Anche l’Europa, e non solo la Russia, potrebbe quindi rischiare di dover affrontare la recessione ed è quella che forse soffrirà di più, più degli stessi Stati Uniti d’America, i quali hanno maggiori capacità di resilienza rispetto all’Europa.

La guerra in Ucraina arriva in un particolare momento in cui già l’inflazione, a seguito della fase pandemica, cominciava a profilarsi nelle Economie globali, ma ne soffriranno non poco le economie fragili dei Paesi in via di sviluppo che potrebbero correre il rischio di dover fronteggiare sommosse e rivolte a causa della mancanza di cibo e dell’aumento dei costi, non potendo più approvvigionarsi di materie prime alimentari come i cereali, il grano, il mais, i girasole etc. che provenivano, prima della crisi bellica, dall’Ucraina in particolare e dalla Russia, per la chiusura dei porti e la distruzione sopra tutto in Ucraina di intere aree di coltivazione. Certo, anche se la guerra finisse domani, ci vorranno probabilmente alcuni anni prima che le Economie possano riprendersi pienamente. La Russia, da un lato, avrà molte difficoltà a ristabilire legami economici, finanziari ma anche politico istituzionali con gli altri Paesi del mondo, in particolare con l’Occidente, e potrebbe perdere i suoi mercati con l’Occidente stesso e di conseguenza il tenore di vita del popolo russo ne risentirà molto. Dall’altro lato anche l’Ucraina, che è la più duramente colpita sia in termini umani che infrastrutture fisiche completamente danneggiate, non potrà che aspettarsi un massiccio sostegno esterno per la sua ricostruzione e per realizzare nuove relazioni politiche ed economiche sia all’interno che con l’Estero. Ma già sin da subito l’Europa e tutto l’Occidente dovranno lavorare sui Piani di Ripresa che vanno rimodulati in conseguenza della crisi bellica, che ha già provocato migliaia e migliaia di morti e l’escalation non sembra fermarsi se l’aggressore non si ferma, dovrà inoltre soprassedere per qualche annetto anche al patto di stabilità a causa della crisi umanitaria, che tuttavia ogni Paese dell’Europa non potrà affrontare da solo, e dovrà escogitare altre misure. Le risposte dovranno essere naturalmente tempestive.

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