di Mario Caspani •
Chiedo scusa per l’autocitazione, ma voglio riportare l’inizio di un mio articolo pubblicato qui 4 anni fa:
“Riccardo Ruggeri è un distinto signore di 86 anni che – sue parole – si considera un ex di professione. Figlio di operai Fiat, ex operaio egli stesso, poi manager (quando ancora l’ascensore sociale funzionava), poi CEO di aziende con ultimo incarico in New Holland, portata alla quotazione a Wall Street, infine ex imprenditore, ora da vent’anni circa editore e pubblicista.
Da anni regala, a qualsiasi giornale voglia pubblicarli, i suoi “Camei”, pungenti, ironici e mai banali interventi su temi di attualità, e due anni fa ha lanciato una rivista (“simil quotidiano”) on line battezzata Zafferano News che si caratterizza per la gratuità: abbonarsi è gratis, niente pubblicità, i collaboratori che vi scrivono lo fanno a titolo gratuito.
Ogni settimana, ma a volte anche a scadenza più ravvicinata, vengono pubblicati una decina di articoli brevi e intensi, tutti rigorosamente fedeli a un pensiero apòta, come ama definirsi Ruggeri stesso, cioè scettico non schierato, che non beve (etimologicamente), per dirla con parole in voga, né le improbabili fake-news propalate ovunque, né tanto meno le ancor più odiose fake-truth, tanto care alla narrazione politicamente corretta di chi detiene il potere e dei suoi sempre numerosi megafoni (media allineati).
In questi anni Ruggeri ha scritto anche libri, in particolare “Uomini o consumatori? Il declino del CEO capitalism”, saggio di un paio di anni fa, a 4 mani con il filosofo Giovanni Maddalena, e il più recente “Maria e l’Ingegnere – Il retrogusto del potere” che narra, come recita la copertina, “una grande storia d’amore ai tempi del CEO capitalism” (entrambi pubblicati da Grantorinolibri.it).”
In questi ultimi anni Ruggeri ha pubblicato nuovi libri, tra cui la bella autobiografia “Una storia operaia” e il più recente “Guerra e Poesia”. E, a ormai 90 anni, prosegue imperterrito a pubblicare settimanalmente i suoi “Camei” e la rivista on line Zafferano News.
Per che motivo ripetermi? Ne riscrivo perché in questi giorni mi è tornata in mente una lunga conversazione telefonica che ho avuto il piacere e l’onore di avere con lui ad agosto dello scorso anno (ogni tanto contatta qualche lettore per scambiare quattro chiacchiere). Tra i tanti temi che abbiamo toccato si parlò anche del fenomeno auto elettrica. Dato che sono fortemente contrario alla sua imposizione forzata, come sta avvenendo in Europa, forse mi sono scaldato nelle critiche con lui, al che mi disse “Guardi, lei forse non sa o non ricorda, ma a inizio 900, agli albori dell’era automobilistica, in America si sviluppò un grande dibattito tra sostenitori dell’auto a motore termico e quelli che preferivano l’elettrico. Come finì lo sappiamo tutti, lasciarono scegliere al mercato e vinse il motore termico, più efficiente, meno caro, più gestibile. Lasci fare al mercato, nel lungo periodo la ragione viene sempre premiata.”
Più o meno queste le sue parole di allora.
Trascorsi 9 mesi cominciano ad arrivare delle belle notizie.
Passata la sbornia di aiuti e incentivi statali l’auto elettrica arranca nelle vendite e segna un calo consistente nelle immatricolazioni, scese in Europa nell’ultimo anno dal 15 al 12% della quota di mercato (in Italia dal 4% al 2%).
I consumatori sono un gregge che, in quanto tale, per definizione viene munto e/o tosato periodicamente, ma non sono del tutto fessi e alla lunga sembra che – nonostante l’impressionante bombardamento mediatico e pubblicitario che falsamente descrive l’auto elettrica come la panacea di tutti i (presunti) mali climatici – si stiano rendendo conto che è un controsenso spendere decine e decine di migliaia di euro per un mezzo che se va bene arriva a 3/400 km di autonomia, ha grossi problemi sia quando fa molto caldo che quando fa molto freddo, è a elevato rischio di incendio delle batterie, richiede altri pesanti investimenti per le stazioni di ricarica rapida domestica, costa più della benzina se si usano ricariche rapide di ultima generazione, non può essere riparata da un normale carrozziere in caso di incidenti (occorrono attrezzature speciali), crea grossi problemi di smaltimento delle sue componenti inquinanti al termine del ciclo di vita e, dulcis in fundo, regala un primato economico alla Cina (detentrice di tutte le materie prime necessarie alla filiera produttiva) costringendo a chiudere fabbriche e licenziare qui da noi in tutti i settori direttamente o indirettamente connessi al mercato dell’auto.
Posto che i consumatori non siano fessi, i produttori lo sono meno. Col venir meno degli incentivi statali (Pantalone paga, ma non in eterno), si moltiplicano infatti le perplessità e i ripensamenti delle case automobilistiche sui piani di investimento nell’elettrico.
Akio Toyoda, nipote del fondatore e presidente di Toyota, il maggior produttore al mondo, da sempre è critico verso il mondo elettrico (ad eccezione dell’ibrido, inventato da loro, che è altra cosa), così come lo era lo scomparso Sergio Marchionne, in tempi non sospetti. Anche i vertici di Renault hanno ventilato passi indietro, così come del resto il gruppo Volkswagen che con tutti i suoi marchi era partito lancia in resta nel nuovo business, salvo recentemente ridimensionarne i progetti, stesso discorso per il gruppo Ford.
Il mondo della finanza, che in quanto a capacità di tosare il prossimo non è secondo a nessuno, sta fiutando il vento diverso e un recente report di Goldman Sachs ha rivisto al ribasso le previsioni di vendita. In soldoni pare che la capacità produttiva annua dell’intero settore sia di circa 14 milioni di veicoli, con una previsione di vendita per il 2024 ben inferiore ai 10 milioni, cioè oltre un 30% di invenduto.
Con tutte queste belle premesse, la Commissione e il Parlamento europei tirano dritti con il diktat dello stop alla produzione e vendita di auto a motore termico a partire dal 2035, senza minimamente preoccuparsi delle probabilissime pesanti ricadute negative, economiche e sociali, di tale decisione.
Chissà se da elettori avremo modo di far loro cambiare idea…