di Mario Caspani •
Siamo stati tormentati quasi quotidianamente da giornali e TG con il mantra “questa è l’estate più calda di sempre”, ma alle mie latitudini (Lombardia nord ovest) non è stato affatto così. Il tempo è rimasto fresco e instabile almeno fino al 20 luglio, per poi naturalmente scaldarsi fino a quasi fine agosto.
E ci credo, se non fa caldo a fine luglio e agosto quando dovrebbe?
Sta di fatto che, come al solito, a settembre mi sono preso qualche giorno di vacanza, stavolta sulla riviera del Conero, Marche, medio adriatico. Risultato? 6 giorni di pioggia su 14 e temperature sotto ai 14 gradi a metà settembre.
Il ciclone Boris si è occupato di spazzare le balle climatiche, prima sull’Europa centro orientale, poi sul nostro stivale, con i noti esiti catastrofici in alcune zone particolarmente esposte.
Attenzione, però. L’esposizione a disastri di natura idrogeologica di certe zone non è una novità, si tratta di un fenomeno ricorrente e prevedibile.
Il bacino del Po ha nei millenni creato la pianura padana, per definizione pianura alluvionale, cioè formatasi con i detriti e i fanghi smossi dalle acque dei fiumi in periodi di piena (nozioni di geografia da scuola elementare).
Il pericolo sta nel fatto che nell’ultimo secolo, o poco più, la densità abitativa, o di insediamenti agricolo industriali, è enormemente cresciuta in quelle zone. Purtroppo non è altrettanto cresciuta la consapevolezza di dover mettere in sicurezza tali insediamenti dalla forza della natura con opere di prevenzione e contenimento, da qui il ripetersi di periodici disastri ai danni delle popolazioni residenti.
La colpa dell’uomo? Non capire, o addirittura rifiutarsi di intervenire in nome di astruse ideologie che professano la necessità di lasciare che la natura faccia il proprio corso.
Sostenere che la soluzione sia la cosiddetta “energia pulita”, cioè una massiccia riduzione delle emissioni di anidride carbonica da parte dell’uomo, è palesemente falso, inutile e ridicolo.
Falso perché è chiaro a tutti che a livello globale servirebbe uno sforzo immenso (e un sacrificio economico insostenibile) per ottenere una riduzione infinitesimale della CO2 nell’atmosfera.
Inutile, perché nonostante la vulgata diffusa a piena voce da media e istituzioni interessate, non è scientificamente provato che livelli di CO2 anche di gran lunga superiori a quelli attuali possano incidere significativamente sull’evoluzione del clima.
Ridicolo perché si tratta di una palese foglia di fico dietro cui nascondere le manchevolezze di amministratori incapaci di una corretta gestione del territorio.
Se anche solo la metà degli ingenti stanziamenti (incentivi) a favore di pannelli fotovoltaici, pale eoliche, auto elettriche fosse stata destinata alla pianificazione di opere di protezione come vasche di laminazione, argini, manutenzione ordinaria e straordinaria degli alvei, non saremmo certo qui ora a fare la conta dei danni. Viviamo in un’epoca caratterizzata da una grande mancanza, la carenza di buon senso.
Detto ciò, volevo segnalare un fatto accaduto ad agosto, in controtendenza con la mia affermazione precedente.
Si tratta di una piccola storia locale, forse per questo non assurta agli onori delle cronache giornalistiche e televisive, tranne rare eccezioni.
E’ l’avventura occorsa a Giuseppina, una attempata signora (88 anni ben portati), che un mese fa decise di andare per funghi col figlio in una zona montuosa nel nord della provincia di Varese, al confine con la Svizzera.
Come sempre accade, i cercatori di funghi si separano, pur rimanendo in zona, per coprire meglio il territorio. Sta di fatto che la signora ha messo un piede in fallo ed è scivolata per alcuni metri in un avvallamento. A causa del terreno e anche di alcune microfratture alle costole, non ha più avuto la forza di risalire dal punto in cui è caduta e, per qualche tempo, nemmeno di chiamare aiuto (nessun campo per il cellulare).
A sera il figlio, non vedendola rientrare, ha ovviamente dato l’allarme e subito sono partite le ricerche dei soccorritori.
Ricerche che per tre giorni non hanno dato esito, facendo presagire il peggio. Tra l’altro i protocolli di ricerca prevedono che trascorse 72 ore le squadre possano abbandonare l’operazione.
Ma un gruppetto di ricercatori ha insistito anche la mattina del quarto giorno fino a rintracciare la donna, che nel frattempo aveva ritrovato un minimo di energia per richiamare la loro attenzione, sentendoli passare vicino.
Un po’ malconcia, disidratata, ma lucidissima, la signora Giuseppina ha subito raccontato come ha fatto a sopravvivere per tre notti all’addiaccio in un bosco a 1.200 metri di quota.
In primis ha messo in pratica le nozioni acquisite in anni di escursionismo con il CAI: si è creata un piccolo giaciglio con le felci per isolarsi dal terreno umido, ha dormito a pancia in giù per diminuire la dispersione di calore corporeo, ha cercato, per quanto possibile, di bere da vicine pozzanghere e piccoli depositi di umidità e acqua piovana.
Ha poi raccontato di aver recitato il Rosario tutte le sere prima di addormentarsi e di essersi svegliata spesso per rumori di animali notturni nelle vicinanze. In particolare ha riferito che tutte le notti si avvicinava una volpe che dopo pochi istanti se ne andava.
Una storia che ha dell’incredibile, soprattutto data l’età della protagonista, ma che ci dice che quando si usa la testa, il buon senso, non ci si perde d’animo, a volte i miracoli si avverano. E ci dice anche che le avversità si possono e si devono affrontare con i mezzi a disposizione senza disperarsi e dare la colpa alla malasorte o a chissà che altro.
Una proficua lezione anche per tanti giovani leoni da tastiera sui social che hanno sempre pronti insulti e frasi fatte da altri per sfogare le proprie nevrosi e far finta di essere vivi.